mercoledì 3 marzo 2010

Esperienza sull' "allevamento " delle oche












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1 La casa in natura
2 Primo incontro con l’oca
3 L’acquisto
4 Il primo trauma: la faina
5 Gheb
6 L’assalto delle volpi
7 Prove di riequilibrio in natura
8 Il primo uovo
9 Decisioni drastiche
10 Il volo
11 Le oche e la gente
12 Le oche e gli altri animali
13 Le oche e i divieti
14 La lunga cova
15 La nascita dei paperi
16 Conclusione



1 La casa in natura

Vivo nella campagna della provincia di Grosseto. Ho sempre vissuto in contatto con il mare, per brevi periodi a Roma, poi in un centro storico medioevale autentico bellissimo, almeno cosi era per me finché non cambiò con l’avvento del turismo. Nel 1991 riuscii a stabilirmi con il mio cane in un casale abbastanza isolato con quattro ettari fra campi e bosco e riuscii, finalmente, ad iniziare i miei studi sulla natura in natura. Mi occupo di raccogliere piante spontanee per la preparazione di tinture spagyriche (1), non ho mai coltivato i campi, piuttosto li ho fatti arare in stagioni e lunazioni adatte al mantenimento della diversità botanica già presente sul territorio.
Amo anche gli animali e nel frattempo, giacché ci vivevo “insieme”, ho “studiato” alcune specie, come ad esempio le formiche, i ragni, i topi, le farfalle, le volpi, gli istrici, i cinghiali, i falchi pellegrini e i corvi.
Quando il mio vecchio cane mori, iniziai con la “stirpe” dei gatti”.
Da piccola conoscevo già i gatti, mia nonna ne nutriva e curava vari, anche quelli del vicinato, ma qui ho avuto la possibilità di osservarli in un ambiente più “selvatico”.
Un gatto in campagna è diverso da quello che vive in casa urbana, e la sua indole libera si manifesta maggiormente. Un bravo gatto si riconosce perché sa come evitare nemici naturali quali volpi, faine, vipere o calabroni, anche se non sa difendersi da cacciatori impazziti che li prendono di mira; sia maschi che femmine però vanno spesso“curati” dalle ferite delle loro feroci battaglie “ormonali”, cioè dalle lotte per la femmina e per la difesa del territorio personale.
Non ho mai voluto allevare animali da cortile, per mio carattere, perché mi hanno sempre rattristato molto le bestie chiuse in gabbia. (1) - la Spagyria è l’applicazione dell’Alchimia alla produzione delle medicine.

2 Primo incontro con l’oca

Un giorno del dicembre 2001 passando davanti al podere prima del mio, vidi un’oca bianca di razza “oca di Roma” o “Italica”.
Mi fermai affascinata e stupita dal suo incedere…è vero sono buffe come camminano, ma qualcosa nella regalità del portamento e dello sguardo mi colpì. Dopo averla incontrata per alcuni giorni, chiesi informazioni su queste oche alla vicina. La simpatica vecchietta mi raccontò tutto della sua esperienza con le oche o papere bianche (all’epoca ne aveva quattro). Mi disse che si compravano i pulcini al consorzio in aprile-maggio, che vivevano nel pollaio ma da sole perché vi era il pericolo di litigi con le galline e con i tacchini, che le potevo lasciar libere di giorno ma che avrei dovuto chiuderle di notte per difenderle dalla volpe, che avevano bisogno di un secchio d’acqua sempre, del mangime finché erano piccole per quattro o cinque mesi circa, e che sarebbe bastato uno spazio libero nel quale avrebbero “pulito” tutta l’erba.
Verificai le suddette informazioni anche con altri vicini e tutti mi assicurarono che sì, se mi piacevano erano animali che dopo i primi mesi non avrebbero più avuto bisogno di alcuna cura e che l’oca era meglio di un cane per avvisare dell’arrivo di estranei.
Perché non buttarmi dunque in quest’avventura? Mi sarebbe bastato organizzarmi un capiente spazio recintato a modo, con rampicanti che facevano ombra d’estate e un modesto ricovero coperto per l’inverno, in più comprare vari recipienti da tenere sempre riempiti d’acqua pulita… Fu cosi che mi decisi, nel marzo 2002 a fare l’acquisto al consorzio locale di quattro paperini.

3 L’acquisto

Quella mattina c’era folla al consorzio, era, infatti, il “giorno della vendita dei paperi”. Avevo ordinato due maschi e due femmine di “oca italica o di Roma”, la più comune in questa zona, ma… primo inghippo: nessuno tra i contadini e gli addetti al consorzio sapevano distinguere il maschio dalla femmina; essi affermavano che avendo gli organi della riproduzione all’interno, l’unico segno di riconoscimento era la grandezza, solo “bravi esperti” erano capaci di distinguerli.

Ritornai a casa con quattro bellissimi paperini e il mangime, (lo stesso miscuglio di granaglie macinate “fini” che il venditore del consorzio assicurava essere adatto a “tutti i tipi di pulcini”, sebbene sulla confezione ci fosse solo l’indicazione “Grandi Sapori” per polli).
Piiio pio piò, …che chiasso faceva questa morbida nube gialla d’esserini agitatissimi! Erano molto spaventati dai vari “viaggi” e avevano anche una gran paura di me, nonostante ora avessero tutto: mangime, acqua e una “reggia” di pollaio recintato (la doppia rete per difenderle anche dalle faine non c’era ancora, ma l’avrei montata qualche settimana dopo, ahimè!) … ma non cedetti all’istinto di prenderli in mano e “coccolarli”… me ne stetti un po’ discosta, in osservazione silenziosa. Ma il fatto di avermi sempre intorno ad imitare il loro “suono”, dopo pochi giorni, li tranquillizzò molto.
I contadini mi avevano istruito bene su tutto quel che sapevano sulle oche, ma scoprii presto che ne sapevano poco. Essi tengono le oche al massimo per due anni, e Natale è il giorno che per tradizione si mangiano, quindi non conoscono quanti anni può vivere l’oca; sanno che da gennaio a giugno depongono le uova “peccato per cosi pochi mesi !“, e per il noto detto che “l’oca non cova e se lo fa poi si stanca “ non lasciavano uova per la cova e compravano i pulcini al consorzio, oppure li facevano covare alla gallina. Altre informazioni utili non c’erano.

Saputo di una signora abitante nella zona, che da moltissimi anni allevava una trentina di oche, sono andata a trovarla per sapere ulteriori notizie sul mondo delle oche.
Arrivata sul posto vidi recinti vari, abbastanza spaziosi e con fondo cementato, il tutto sarà stato di circa 300 metri quadri, c’era anche una bella vaschetta d’acqua che era affollatissima di oche… troppe 30 oche, anche per uno spazio tra i più grandi da me visti. La signora molto gentile mi illustrò il pollaio, vidi che era accudito con diligenza, mi fece avvicinare ad alcune oche, disse inoltre che le uova le regalava e se qualcuno gli chiedeva una bestiola per mangiarla, lei la macellava e gliela dava già pulita. Accompagnandomi alla macchina mi disse ancora: “Io lo fo’ per passione perché mi piacciono da quand’ero piccola perché vedi, il guadagno non pareggia le spese”. Salutandola gli domandai dei pulcini e mi disse che li comprava al consorzio. Durante il ritorno a casa pensavo che anche lei sapeva le solite cose, ed una indistinta sensazione mi diceva che il mio rapporto con le oche sarebbe stato diverso.
Mi balenò alla mente l’idea che l’industria che rifornisce i consorzi, rendesse i pulcini geneticamente incapaci da grandi di covare le proprie uova, come similmente alcune industrie fanno con i semi delle piante (vedi agricoltura transgenica) …ma si, fantascienza…qui in Maremma non c’è una tradizione di consumo alimentare di oche e chi vuoi che spenda i soldi per lo studio “sulla sterilità” dei paperi?
Ma allora perché le oche non covavano più?
Anche le mie ricerche su internet non mi furono utili, poiché erano approfondimenti di allevamenti per oche da produzione alimentare o ornamentali.
Lasciai da parte queste riflessioni, confidando che l’esperienza diretta mi avrebbe portato a capo di questo “enigma”.

4 Il primo trauma: la faina

Tre settimane dopo una brutta mattina trovai il pollaio vuoto.
Ivando, il mio bravissimo ed esperto vicino contadino, mi assicurò che era stata la faina, di cui trovammo anche le tracce.
Pur capendo le esigenze della faina, ci rimasi malissimo, in fondo era colpa mia se non “volevo capire” come difendere i paperi.
Messa la rete anti-faine molto accuratamente (scavando e facendola arrivare sotto terra 40 centimetri) cambiai mercante di paperi, andai nel viterbese e ne comprai tre (dal solito “esperto”) più uno ad un mercato di bestiame sull’Amiata e ricominciai ad osservarli, imitandoli e stando tutto il tempo libero che avevo in giro con loro. Ora avevo un pollaio super sicuro, i pulcini li portavo a spasso con me e poi li richiudevo se per qualche motivo dovevo assentarmi.
Mentre continuavo a parlare ai paperini in “paperinese”, cioè imitando il loro verso, scoprivo che avevano una buonissima comprensione e anche un carattere deciso. Quattro mesi dopo stavano diventando tutti bellissimi.
Osservando che le pozzanghere che si formavano dopo la pioggia erano il loro posto preferito dove nuotavano come matti, si lavavano e cercavano cibo sul fondo, decisi di costruire una pozzanghera- invaso di circa tre metri per tre, con pratico ricambio d’acqua.

5 Gheb

Tra i paperi ce n’era uno con un buffissimo rialzo di piume sulla testa e questa caratteristica fisica mi ricordava il re dei paperi delle favole.
Con il tempo scoprii che era un maschio, aveva una certa predominanza sugli altri, mi sembrava un capo gruppo equilibrato. Nacque una grande amicizia.
Lo chiamai Gheb perché gli antichi Egizi adoravano il dio della terra con questo nome, e lui per me meritava un appellativo cosi importante. Mangiava direttamente l’erba dalle mie mani e stavamo sempre insieme, si lasciava accarezzare e mi seguiva ovunque andassi, gli “parlavo” e lui dava l’idea di seguire qualcosa dei miei semplici discorsi. Mi sentivo anche “consolata” dal suo curioso atteggiamento di “becchettarmi” delicatamente i capelli come se fossero erba; questo lo faceva nelle rare occasioni che mi sedevo a piangere piano, sotto l’ombra dell’acacia, ma Gheb mi faceva subito ridere e lasciati i miei crucci, mi mettevo a giocare con lui….e anche le altre oche seguendolo, venivano insieme a me… Hùà Hùà Hùà, ero per loro la “grande amica”…” papera umana” mi sfottevano i conoscenti.
Dal loro comportamento ero ormai sicura che il gruppo di quattro oche era formato proprio da due maschi e due femmine.

6 L’assalto delle volpi

Un giorno d’agosto arrivarono le volpi, a me sparirono due oche femmine in un pomeriggio in cui mi ero assentata, ad altri vicini anche fino a quindici galline ad assalto.
Tutti affermavano che ciò era davvero strano, un assalto di volpi che colpiva in pieno giorno! Una poi era davvero di dimensioni notevoli, ed ebbe l’ardire di affrontare un uomo direttamente, strappandogli dalle mani la gallinella che lui tentava di salvare (quest’uomo di 68 anni affermò che non gli era mai successo in vita sua!).
Ero molto triste. Capivo bene le volpi (un anno prima nel bosco una piccola volpe aveva mangiato della frutta dalle mie mani) ma mi dispiaceva tantissimo per le oche. Le oche non avevano saputo difendersi dalla volpe, mi dissero i contadini, sia perché ancor giovani e inesperte, (infatti, non avevano toccato le quattro oche ormai adulte di un’altra contadina distante quattro chilometri, mentre le avevano mangiato cinque galline) sia perché non sapevano più volare… credo che me lo dicessero per consolarmi, ma io al fatto che le oche non volavano ci pensai seriamente.
Certo, la selezione operata dall’uomo per usi alimentari e per l’utilizzo delle piume, aveva privilegiato da secoli razze più stanziali per un loro maggior controllo, e l’allevamento in piccoli spazi recintati, in cui le oche erano costrette a vivere, inibivano vari istinti e facoltà come quella di volare.

Mentre il vicinato si organizzava per “la tagliola” alla volpe (tecnica ormai proibita, come d’altronde anche la caccia alle volpi) e tutti tenevamo gli animali chiusi giorno e notte nei pollai, (o stavamo con loro, come i guardiani di una volta) io provavo a ragionare sul modo migliore per far vivere le oche.
Ne “parlai” anche con Gheb, quasi a volergli spiegare perché li tenevo sempre rinchiusi e finii il mio resoconto alle oche con un “ e allora la situazione è questa qua, che si fa Hùà Hùà?”

7 Prove di riequilibrio in natura

Gheb mosse le grandi ali ripetutamente e a lungo, fino a convincere anche l’altro a fare la stessa cosa… presi ciò come un indicazione: allora voliamo! Siamo andati immediatamente sulla strada davanti casa mia. Io correvo e loro mi seguivano di corsa.
Questa storia durò circa una ventina di giorni. Chi mi vedeva correre movendo le braccia “a volo” con le due oche dietro e gridando “vola vola vola vola” rideva e rimaneva sconcertato. L’esercizio lo eseguivo la mattina all’apertura del pollaio e la sera una o due ore prima del tramonto.
Nel frattempo i vicini “più bravi” avevano preso (e ucciso) con la tagliola ben cinque volpi grossissime, la taglia di una di queste era come quella di un grosso cane, incredibile!

Forse quella volta ho capito che qualcosa nella mia personale visione di “politica verde” era parziale. Quell’episodio mi chiarì che bisogna sempre saper anche difendere le cose che ami, o che per te sono importanti, non solo amarle (e la difesa è conoscenza e lavoro, ma anche scelte difficili, come sperimentai più tardi). Il mondo come io lo volevo non prevedeva reti ed ero vegetariana, quindi i pollai erano solo gabbie oppressive. Per me “fare il tifo” per l’animale selvatico è l’unica realtà utile oggi. Anche se ora capivo meglio i contadini e il loro rispettoso lavoro, vissuto anche con amore e dedizione fin dall’infanzia..ma io non ero stata educata come loro.
Ridendo, pensavo che il mio nonno pescatore di paranza (imbarcazione per la pesca in alto Tirreno) quando mi portava con lui d’estate, m’insegnava che “il pesce è libero ed è l’uomo che deve sapere come pescarlo”.
Cacciatori, pescatori, coltivatori, allevatori, ognuno con la loro battaglia da vincere.
La mia era capire come fare con le oche.

Da sempre c’è la lotta per la vita e quando sai che c’è un’armonia nella vita, riconosci che ci deve essere anche un’armonia nella morte.
L’assalto anomalo di volpi non era poi cosi “naturale”, se le volpi sono in estinzione in buona parte della nazione e la Maremma è zona franca per loro, è perché il loro territorio naturale si restringe sempre di più (anche in Maremma, dove il selvatico è trasformato in produttivo); questi rari assalti diurni diventeranno sempre più frequenti nel tempo e nella morte delle mie oche mangiate dalla volpe non c’era armonia, ma “disguido” umano.

Cos’è l’armonia? Mitologicamente Armonia è la figlia che nasce dall’unione di Marte con Venere, dallo spirito del guerriero e dall’amore della ragione superiore. Dovevo sviluppare il mio “spirito guerriero” e usare non solo il mio amore per le oche, ma anche una diversa conoscenza, che mi portasse più vicino alla ragione superiore.

Nella realtà in cui vivevo avere “un allevamento” più adatto con la natura delle oche, voleva dire renderle capaci di affrontare i pericoli da sole, con il minimo supporto umano, solo cosi si evitavano “le gabbie” e i comportamenti forzati dall’uomo sull’oca.
Mi convinsi definitivamente a farle volare.

Primo problema: dove trovare due oche femmine coetanee dei paperi rimasti?
In questo fui fortunata, una contadina saputolo decise di non uccidere la sua oca di due anni, ma di farla “vivere in pace” con me. La stessa cosa fece una contadina del “costone di fronte”, che non aveva voglia di uccidere ancora l’ultima papera rimastale e me la donò. Queste due queste donne lo fecero con uno spirito come di “volersi ingraziare gli dei, o i Santi, protettori del pollaio” e questo mi commosse.
La papera “anziana” che chiamai “Papi” (pronuncia Paaapi) come la chiamava la precedente padrona, era bellissima, di razza
“ Pomerania” e sembrava un dipinto giapponese, l’altra perfettamente uguale e coetanea dei miei la chiamai Papi’ (anche qui per rispettare l’usanza di chi l’aveva battezzata così e l’abitudine della papera a quel suono).
Ma la mia contentezza durò poco, infatti, appena li misi insieme successe un finimondo: tutti beccavano tutti, ed io non sapevo davvero cosa fare.
Ivando trovò la soluzione. Mi disse “vedi è come coi cristiani, ora che sono adulti, di sesso diverso e sconosciuti fra loro si ammazzeranno ma non si capiranno mai. Se li dividi decidendo tu la coppia, vedrai che si cheteranno e fra una settimana li potrai rimettere insieme, perché allora si conosceranno, almeno a due a due e non litigheranno più. Gli diedi retta.
Per accoppiarli decisi secondo la “forma di ognuno” e misi Gheb con Papi’, slanciati e con un’armonia simile nelle movenze, e Papi con Paperinik, perché meno slanciati e più possenti.
Una coppia nel mio pollaio e una coppia in un pollaio vuoto di Ivando. D’improvviso ci fu silenzio. Per giorni le coppie s’ignorarono del tutto e mai litigarono. Io andavo più volte il giorno nei pollai, con aria tranquilla, cantando alcuni motivetti e giocando un po’ con i miei maschi, le femmine mi guardavano con curiosità.
Li rimettemmo insieme dopo dieci giorni nei miei spazi e l’atmosfera rimase tranquilla. La mattina e la sera continuavamo con gli esercizi di volo. Durante il giorno mentre ero occupata in varie attività all’interno del casolare, il loro “abbaiare” mi avvertiva dell’arrivo di visitatori ben cinque minuti prima. Tutto questo accadeva fino al dicembre 2002









8 Il primo uovo

Alla luna nuova di gennaio 2003 scoprii il primo uovo nel pollaio.
Era stata Papi la vecchia (come la chiamavo per capirmi con gli altri) che l’aveva fatto.
Gioia, stupore, meraviglia il primo grande uovo delle mie oche mi fece un effetto incredibile! Papi ne deponeva uno il giorno, e i vicini mi affermarono che poi, verso giugno, avrebbero interrotto la deposizione e chissà, forse avrebbero provato a covare.

9 Decisioni drastiche

Il giorno stesso che scoprii il primo uovo si presentò un altro problema: la lite fra i maschi.
Ivando disse “ Mi sa che fanno come le galline. Nel pollaio ci deve essere solo un maschio sennò alla fine il più forte ammazzerà il più debole”. Gli risposi “ma non sono galline, sono oche, forse non succederà cosi, forse c’è qualcosa da fare che non capisco”. E lui: “Si, come coi tuoi gatti, il maschio in zona deve essere uno sennò l’altro è costretto, come già ti è successo, a cambiare zona”.
Era vero. Con i gatti per quanto avessi fatto per tenerli nel casolare non c’ero riuscita, era rimasto quello che in qualche modo, fra i maschi, amavo di più, l’altro un giorno spari e lo ritrovai molto lontano che si era fatto già un’altra famiglia.
Accidenti agli “ormoni” che fanno impazzire animali e persone! Un animale non media mai questo istinto, come possono fare le persone (e sappiamo come è umanamente difficile anche per noi provare a superare i nostri istinti, tramite l’ascolto del pensiero più equilibrato!).
Gheb era il perdente, ogni giorno mi si presentava sempre più spennacchiato e dimesso, Paperinik era sempre più bello e forte, bianco e spavaldo.
Ivando mi raccomandava di sbrigarmi a decidere quale papero togliere, prima che fosse troppo tardi. Telefonai a mezzo mondo, misi annunci di “regalasi papero di un anno” e finalmente, una “voce maschile” di Bolsena (VT) mi telefonò per annunciarmi che il giorno seguente sarebbe venuto a prendere il papero. Davide, cosi si chiamava, era un simpatico quarantenne che viveva in una casa con mezz’ettaro di terra, aveva comprato anche lui una coppia di oche “da compagnia” al consorzio, chiaramente gli “esperti” si erano sbagliati e lui si trovava ora con due femmine. Fummo entrambi felici di questa soluzione e “salutai” Paperinik augurandogli buona fortuna.

Ora che avevo ricreato un certo equilibrio nel mio “allevamento” decisi di perseguire il mio piccolo obiettivo di addestrare le oche a riprendersi almeno una parte del loro istinto più reale.


10 Il volo

Gheb si ristabiliva velocemente e una mattina alla prima esercitazione sulla strada, si alzò in volo di qualche metro, dietro lo segui Papi la vecchia e poi, subito dopo Paperi’. Era il 10 Marzo del 2003. Fu un piccolissimo volo, ma da lì in poi si alzarono di più e per più tempo, dopo la lunga rincorsa. Festeggiai con loro dandogli del riso, facendo complimenti e grida d’entusiasmo! C’erano voluti fino allora due mesi di corse al mattino e alla sera, continuai quest’esercitazione divertente ancora per qualche tempo.

Il tempo passava, facevo le raccolte di erbe in compagnia delle tre oche, ormai adulte e bellissime. Papi, che dapprima accusò per vari giorni la perdita del suo compagno Paperinik poi si calmò. Gheb e Papi’ divennero la “coppia ufficiale” e Papi la “concubina”.
Gheb era stato accettato alla grande dalle oche femmine, e guidava il gruppo cosi ristrutturato, ma chi preponeva effettivamente alla compagnia cosa fare e dove andare era la sua compagna Papi’.
Ormai volavano sulla strada e in una parte del campo, ed era uno spettacolo magnifico perché riuscivano finalmente a sorvolare cespugli e recinti; io continuavo a correre con loro, giocando.
Le oche avvertono l’arrivo della pioggia in modo particolare, e quando giunge si trovano completamente a loro agio, le ho viste ferme sotto acquazzoni terribili, in tutte le stagioni, a testa alta, zampe piantate in terra e faccia dritta e ferma verso la tempesta più tempestosa e poi con placida calma, voltarsi ed andare verso un riparo …a nessun altro animale ho visto mai fare cosi.
Finita la pioggia si divertivano a giocare in una particolare pozzanghera che gli piaceva molto di più di quella fatta da me, ma non potevo certo fargliene un’altra perché la strada era vicinale, anche se non ci passava nessuno. Poi un giorno per la strada prese a passare un nuovo proprietario un po’ burbero che aveva comprato i campi abbandonati dopo il mio casolare, e data l’andatura sempre veloce della sua auto e le mie oche-guerriere che assaltavano le ruote della sua macchina in corsa, decisi di non permettere più ai miei animali di stare per la strada, e con ciò gli esclusi anche l’accesso al portone di casa che dà direttamente sulla via.
A proposito del portone di casa Gheb aveva preso l’abitudine che quando non mi vedeva uscire perché avevo da fare o era freddissimo, saliva i tre scomodi gradini e “ tac tac tac”, mi beccava alla porta, io gli aprivo e dicevo “che c’è Gheb Gheb?” e lui mi becchettava la mano o i piedi per farmi capire che voleva il riso. Anche le oche femmine lo volevano il riso ma era lui però a condurre tutto il rituale di richiesta, dandosi una grande aria da “gran capo pollaio”. Un aspetto positivo della recinzione è stato che ha reso sicuramente più “pulito” l’ingresso alla casa.

11 Le oche e la gente

Molte persone sono venute a trovarmi in questi anni, amici, vicini, visitatori in cerca di consigli erboristici, e le oche mi hanno insegnato a leggere un particolare aspetto del loro carattere. Come? Guardando semplicemente in che modo reagivano alle oche libere intorno alla casa.
L’oca non attacca mai di fronte, soffia ferocemente, fa una bruttissima faccia cattiva con la lingua in fuori, ma si lancia effettivamente solo quando la persona le volta le spalle, “pizzicando” piedi, gambe, o in ogni modo, dove riesce ad arrivare. I contadini più esperti, fra cui Ivando e pochi altri, aspettavano fermi e tranquilli che l’oca “ feroce” si avvicinasse guardandola negli occhi …e poi quando era vicina il giusto l’afferravano di scatto prendendo il loro lungo collo, la tenevano sollevata un po’ per lasciarla poi ricadere.
L’oca non ne ha alcun danno da questa manovra, a volte ci riprova ancora ma poi fa “quaquaà”, sgrulla la coda ed emette il grido di vittoria, allontanandosi. Alcuni fra i miei amici, ripetevano questa manovra con successo e ottenevano il “permesso” dalle oche di rimanere in giro ovunque, le amiche “più brave” si facevano rispettare scendendo dalla macchina già armate di bastone o d’ombrello, per tenerle a distanza.
Tutti gli altri, sebbene avvisati di come fare o quantomeno di non dare mai le spalle alle oche, si comportavano in modi davvero buffi che non gli evitavano fastidiose e anche dolorose beccate.
In alcune persone l’angoscia, la paura e l’isteria prendevano decisamente il sopravvento, per l’improvvisa avanzata delle oche c’era chi si rifugiava in auto e chi scappava lungo la strada e in questo caso aizzavano ancor più gli animali. Questa reazione più forte di loro era provocata da un terrore cieco che gli impediva ogni ragionamento sulla realtà, e sull’effettivo nemico, lottavano con qualcosa del loro terrificante passato (la paura della natura selvaggia, il bau bau della loro infanzia, il diverso); essi riconoscevano che l’oca non era il grande pericolo, ma inconsapevolmente rischiavano di grosso, anche di cadere, oltre le beccate. Alcuni all’inizio si muovevano spavaldi, come in una rissa al bar, essi non capivano che quel modo “non” era una buona difesa dalle oche, che avanzavano decise all’attacco, incuranti di calci e schiaffoni, anzi, ancora più inferocite! Passati questi attimi, spiegavo sempre a tutti i visitatori, (oltre a difenderli sistematicamente sempre, ricacciando e rabbonendo le oche) l’errore che commettevano.
Gli dicevo che le oche sono come tutto nella vita: se non vuoi ascoltare, conoscere e imparare anche a difenderti, perché decidi di cedere alle paure inconsce, la “vita” ti “beccherà” sempre e la colpa sarà solo tua. Non della “vita”.
Con una mia amica conoscitrice dei meridiani della medicina cinese, notammo che le oche non usavano i soliti punti del corpo quando beccavano le persone, ma per quelle a noi più note, colpivano sempre il meridiano più debole (vale a dire quello dell’organo ammalato). Ci sembrò molto strano ma non avemmo tempo di fare altre indagini su questo.

12 Le oche e gli altri animali

Le oche stanno attente, da adulte, a tutte le direzioni.
E’ naturale per loro.
Guardano spesso in alto, ripiegando la testa.
Ma cosa guardano in alto? Aerei, ogni volta che le sorvolano loro li guardano, e quando passano bassi e fanno rumore corrono per nascondersi nel pollaio.
Ma il volo che osservano più attentamente e le pone in una postura tesissima è quello atavico del falco. Lo guardano mentre compie le sue evoluzioni, specialmente quando fa la ruota, preludio della picchiata e non si rilassano, finché non è più visibile.
Osservano quasi in contemplazione qualunque volatile, anche quelli diventati loro amici come le colombe selvatiche o colombacci e i passeri, con i quali dividono “la pozzanghera” e parte del cibo.
Il loro sguardo profondo percorre ogni direzione, seguendo il più piccolo rumore, niente passa loro inosservato. Quando vanno nei campi è come se ascoltassero la terra in cerca di un pericolo, come i serpenti, che spesso evitano, se troppo vicini e inattesi, con un gran balzo.
Mi dimostrarono questo utile comportamento quando in un campo dove raccoglievo le erbe selvatiche a causa della improvvisa comparsa di un grosso serpente, tutte e tre le oche fecero improvvisamente un balzo in alto di quasi due metri…evviva!
Se c’era un pericolo potevano veramente balzare tanto in alto da avere la possibilità di salvarsi. Da allora in poi non mi preoccupai più delle volpi e tolsi tutti i recinti.
Spesso starnazzano lontane e arrivano al casolare con piccoli voli alternati a corse: penso allora che hanno visto o la volpe o un altro animale da cui scappare, forse un cinghiale. Sono ferocissime con tutti i gatti, guai ai gatti! Li attaccano decisamente a beccate se si avvicinano troppo. Le ho viste rivolgersi contro, con grande ardimento, a qualunque cane d’ogni taglia; essere “scontrose” con le galline del vicino quando s’incontravano.
Insomma le oche osservano tutto e sanno difendersi e farsi rispettare da tutti.

13 Le oche e i divieti

Le oche avevano solo tre divieti: venire sulla strada, nell’orto e camminare intorno alla casa. Per farglieli rispettare avevo messo delle reti, anche intorno all’orto (mi decisi perché per due anni non mangiai niente, ogni volta lo trovavo “tabula rasa”, specialmente le insalate). Bene, non fu mai facile farglieli rispettare.
Un buco nella rete o un salto dopo una breve rincorsa, o in volo e vai! Le oche sapevano bene che la rete era un divieto, mi guardavano male quando le istallavo e per due giorni mi tenevano il broncio molto chiaramente, con i suoni e con l’atteggiamento
di “lesa maestà”.
Gli “spiegavo” sempre le ragioni, specialmente a Gheb, che emetteva dolci sospiri ed espressioni gentili come per dirmi “guarda che non sono io che faccio i danni!”, ma poi mi sembrava, che capissero tutte il messaggio.
Lo capivano benissimo, infatti, e facevano “le oche rispettose” quando mi vedevano anche da lontano, ma se non mi vedevano facevano l’esatto contrario….quando le trovavo nell’orto assumevano l’aria di sottomissione, come per scusarsi, io allora mi arrabbiavo e le cacciavo: e loro “mi davano ragione”, camminando piano a testa bassa, con fare colpevole.
Ma col tempo, Papi’ “la capa occulta” si rassegnò e i divieti furono rispettati anche quando uscivo per andare al paese o viaggiavo.

14 La lunga cova

Papi dal giugno 2003 iniziò la cova e la portò ininterrottamente avanti per 40 giorni, non mangiava, non usciva né faceva il bagno, se non un po’ la sera prima che tramontasse il sole. Gli altri passeggiavano qua e là indifferenti.
Ma nel frattempo fu un ottimo esempio per Papi’ che, da febbraio 2004, prese a fare un uovo ogni due giorni, e provava a covare anche lei. Tutti i contadini a conoscenza del fatto erano un po’ stupiti, ma continuavano a sostenere che poi si sarebbero stancate, “perché le oche non covano e se lo fanno poi si stancano”. Se nel 2003 e 2004 avevo regalato le uova a tutti gli amici (giacché erano oltre che enormi e buonissime, anche speciali come shampoo per pulire e rinforzare i capelli deboli) nel 2005 non toccai nessun uovo. Ma con mia grande sorpresa vidi che le oche rompevano man mano, tutte le uova. Ivando era convinto che avevo scelto il papero sbagliato, mi diceva “le tue oche sono brave è il papero che “non è bono a ingallarle!”.

Gheb sterile? No, non ci credevo. Forse era sbagliato il posto della cova, ma come cambiare ora le abitudini delle covatrici?
Papi “la vecchia” covava nel riparo di tufi, l’altra oca Papi’, all’aperto. Durante l’inverno ragionai che la concubina forse poteva non essere “ingallata” (cioè fecondata) da Gheb, pur avendo da gennaio a luglio rapporti con entrambe più volte al giorno, ma Papi’ doveva essere fecondata, poiché sua compagna preferita. Portai dal marzo 2006 oltre la paglia, anche rametti di varie misure e di differente durezza in una parte del pollaio, e aspettai.
I giorni scorrevano sereni, mi dedicavo alle piante, ai preparati e gestivo qualche seminario stagionale per insegnare erboristeria, avevo ricominciato a stare in viaggio anche per tre o quattro giorni, chiedendo al mio vicino Ivando di rimboccare l’acqua nei contenitori e di non preoccuparsi del pollaio, che non sarebbe successo niente se rimaneva la porta aperta di notte.

15 La nascita dei paperi

Lo stesso anno, ovvero il 2006, Papi iniziò la cova il due di maggio e Papi’ il diciannove maggio, avevo lasciato loro solo le ultime otto uova a testa, cosi mi avevano consigliato.
Papi sempre perfetta durante la cova, incominciò dopo un mese a rompere, una per giorno, tutte le uova. Lo strano è che continuò a covare ancora per un certo tempo senza più uova; che strano...pensai ad un calore interno che comunque “comandava “ all’oca di fare il suo rito.
Papi’, come il solito, pur covando qualche ora per il resto passeggiava fuori con Gheb. Non ci feci più caso.
Ormai avevo provato il possibile e di più non avrei saputo fare. Pazienza, erano oche semi libere, si sapevano proteggere, avevano ben capito che c’erano dei limiti per loro (la mia casa, i miei ospiti, l’orto) e il resto era vita.
La mattina del 28 giugno 2006 alle sette aprii il pollaio, tutti uscirono, guardai la zona cova di Papi, (la cova all’aperto che aveva allestito lei) c’erano sempre tre uova lucidissime, poi tornai in casa e lavorai fino alle ore 10.
Verso le 11 andai a buttargli gli avanzi dei fagiolini con cui avevo preparato il minestrone. Non le sentivo, mi avvicinai piano al pollaio e vidi Gheb e Papi fermi in piedi, Paperi’ accovacciata sulle uova ma…vicino a lei c’era uno stupendo paperino giallo!!!! Oddio! Oddea! Stupore, meraviglia, commozione, gioia infinita, miracolo… davvero, non lo so spiegare, è solo da provare. Piano piano entrai nel pollaio e piano sussurrai dei dolcissimi complimenti a tutti…erano tutti stupendi. Le due oche di guardia, attentissime alle quattro direzioni, Papi’ concentrata sulle altre uova e molto tenera col suo piccolo. Il paperino camminava appena e aveva l’aria ingenua e fiduciosa dei “piccolini d’ogni razza”, ma anche un portamento e una classe incredibilmente graziosa e principesca.
Rimasi nel pollaio in disparte, seduta su un tufo, le oche avevano fermato il tempo: osservandole notai la loro meraviglia di fronte ad un evento nuovo e magico per loro…con occhi attenti “stupiti e interroganti”, come se seguissero un istinto in modo preciso ma che ancora non comprendevano.
Vidi, mentre Papi’ “girava le uova”, che ce n’era uno incrinato.
Verso le tre del pomeriggio l’uovo si schiuse e nacque il secondo pulcino tutto bagnato….incredibile! Gheb e Papi eccitate guardavano e, come le ostetriche giravano intorno dandosi un gran da fare. Tornai in casa, nel pollaio era caldissimo, mi ristorai e incominciai a spedire e mail e far telefonate per annunciare agli amici la “lieta novella”.
Si, era davvero una lieta novella: se le oche erano riuscite a far nascere i pulcini la Terra era ancora in tempo a salvarsi. Pensai a tutte le infamità dell’uomo a danno del mondo, a come le catastrofi umane e telluriche ci stanno portando inesorabilmente “verso un annunciato disastro finale”
No. Siamo ancora in tempo ad evitarlo.
Se solo riuscissimo ad osservare, a ragionare, a riprenderci il senso più reale del pensiero, a non essere solo passivi davanti a tutte le cose che ci dicono… (anzi a voler avere sempre le prove di tutto, studiando, ricercando, semplicemente non credendo “alla befana” solo perché qualcosa ci è detto da “esperti” di un qualunque settore, o dalla “TV” o dai giornali)
…Le menzogne possono distruggere l’amore, più di ogni guerra.
L’amore consapevole è una qualità Cosmica che è in ogni Essere.
E se la distruggi hai distrutto la capacità di essere e di essere consapevoli, e ogni guerra o aberrazione ambientale potrà diventare allora “funzionale” o “naturale”.
La mattina del 29 trovai il terzo paperino già nato e “asciugato”.
Ma le oche stavano sempre in quell’angolo del pollaio, non avevano mangiato ne bevuto nulla e faceva un gran caldo in quei giorni. Il mio vicino Ivando mi diede del mangime per polli dicendomi che i pulcini, dopo 24 ore devono mangiare. Ma pur essendo preoccupata da quest’informazione volli dare fiducia alle oche.
La mattina del 30 giugno, quando aprii il pollaio uscirono tutti in formazione, con Gheb davanti, la mamma oca Papi’ con i tre pulcini saltellanti intorno a lei e Papi dietro. Li portarono nella “pozzanghera-invaso”, e tutti si lavarono e poi mangiarono qualche erbetta.
L’acqua per le oche è un elemento fondamentale, specialmente per difendersi dai predatori terrestri. L‘habitat delle oche selvatiche
è la terra,il cielo e l’acqua.
Per tutta la giornata entrarono, specie nelle ore più calde, nel pollaio dove avevo messo un po’ di mangime bagnato per i pulcini e riso per le oche e poi uscivano, sempre in formazione a “triangolo” (Papi era la base e Geb e Papi’ i due vertici), la mantennero sempre e in ogni caso, anche con me quando anch’io mi avvicino ai pulcini







(La formazione a “triangolo” mi mostrava che se le oche fossero state un numero maggiore, la struttura avrebbe certamente assunto l’aspetto di un cerchio protettivo per i piccoli).

Riflettevo però che qualcosa non andava. L’ultimo nato sembrava sempre come un po’ ubriaco, più piccolo e si stancava più degli altri. Mangiava, faceva il bagno ma avevo la sensazione che fosse motivo di rallentamento e preoccupazione per il gruppo di oche. Nella giornata del due luglio ero in casa, lo “starnazzo delle oche mi richiamò verso loro e le vidi molto battagliere e messe a “triangolo” con due soli pulcini al centro.
Gheb junior, come l’avevo battezzato, era stato sicuramente acchiappato dalla volpe (di cui vedevo spesso le “fatte” intorno casa) …per quanto cercai intorno non lo trovai.
Ma stavolta la morte del pulcino aveva un senso, in natura questo succede sempre ed è cosi che sopravvivono anche le volpi.
Battezzai Ta, (che vuol dire “terra” in lingua antica Egizia) e Ra (dio del sole egiziano) i nuovi paperini, che erano protetti dal gruppo di Papi, Papi’ e Gheb. Ora il mio richiamo al gruppo delle oche era “Ghebtarà, Ghebatarà, quaquaquà” e dopo i primi giorni mi seguivano di nuovo.

Ora non avevo più un rapporto preferito con Gheb, lui mi teneva a distanza come faceva con tutti gli altri, era ridiventato veramente un esemplare di papero maturo, libero e compreso negli atteggiamenti propri della sua razza.
Mi facevano, specialmente i primi tempi, i loro peggiori e cattivissimi versi, ma non mi aggredirono mai, nemmeno quando prendevo in mano un pulcino per guardarlo meglio, questo era l’unico beneficio che al momento tutte le oche mi riconoscevano.
Ed io ne fui e ne rimango comunque, molto felice ed onorata.

Passata una settimana dalla morte del pulcino, dovetti ritogliere tutte le reti, perché le oche volavano e poi facevano un terribile e disperato baccano quando i piccoli rimanevano bloccati dalle reti.
Come ogni “genitore” anche le oche insegnano ai piccoli la loro esperienza passata, fra cui il ricordo della loro vita prima dei divieti. Ora lo so, dovrò stare di nuovo senza orto e con le oche intorno alla casa, difendere i miei amici dai loro assalti e stare attenta alla strada, finché i piccoli non saranno diventati splendidi adulti.
Poi vedrò di riprendermi i miei spazi.

Conclusione

Questa è la mia esperienza vissuta con le oche.
Ho voluto scriverla per quanti avessero desiderio di avere un rapporto d’amicizia con loro.
Vi lascio la mia attuale e mail se qualcuno avesse bisogno d’ulteriori consigli o per scambiarci esperienze simili. /e mail:
rimaio@tiscali.it

A me le oche hanno insegnato molto e spero che lo stesso accada per voi.
E concludo raccontandovi ancora la divertente frase di una delle vicine che seppero della nascita dei paperini covati dalla papera: ” Ma tu guarda che strano! Certo è una papera proprio testarda di quelle che un’ovo nella vita lo devono covà per forza…si, mi ricordo che lo raccontavano i vecchi che una volta succedeva”.
***
Anno della prima pubblicazione 2006, in collaborazione con il sito "la Civetta di Minerva"
PS: le foto sono le oche del racconto. La prima immagine é Gheb che gioca con un secchio.


3 commenti:

  1. Hai visto,sei stata anche velocissima a realizzarlo:)
    Auguri per questo tuo nuovo blog!Tornerò con piacere per leggere i tuoi prossimi racconti.
    Ciao:)
    Fabrizio

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  2. E' la cosa più straordinaria che ho letto...devi essere una persona dolcissima che capisco perfettamente perchè come te " coltivo " l'amore e il rispetto degli animali nella mia minuscola fattoria, dove cerco di far regnare l'equilibrio tra tutti. Spero che scambieremo presto altre esperienze.
    Con affetto, Tiziana.

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